Amare i propri genitori non è facile. Amare i propri figli a volte non è facile. Amare i figli degli altri è altrettanto difficile e amare i genitori di questi figli non tuoi è davvero una sfida.
Per educare e insegnare col cuore bisogna allenarsi a non avere pregiudizi, a sospendere i propri giudizi, a rispettare gli altri con le loro scelte, i loro valori e le loro credenze, siano essi adulti, bambini o adolescenti.
Con il presente articolo non voglio raccontare chissà quale scoperta, bensì fare delle brevi riflessioni sui quattro temi presentati nel primo paragrafo.
Amare i propri genitori è non facile
I genitori non li scegliamo noi. Nasciamo ed entriamo a far parte di una qualche famiglia.1 Eccola la prima sfida: amare coloro che per primi incontriamo lungo il sentiero della nostra esistenza. Amarli, averne fiducia, rispettarli, crescere grazie a loro e insieme a loro, lasciarci aiutare da loro quando necessario, dar loro una mano quando necessario e infine anche accudirli quando arriva il momento di farlo.
Voi come vi ponete nei confronti di questa sfida di amare i genitori, naturali o adottivi che siano?
Amare i propri figli a volte non è facile
Da piccoli sono meravigliosi. Sarete in gran parte d’accordo con questa affermazione. E da adolescenti come sono?
Se tu ti trovassi nella situazione in cui, a un certo punto, tuo figlio ti mandasse a quel paese, come ti comporteresti e cosa faresti? Da dove cominceresti per rispondergli? Cosa potresti testimoniare da adulto di fronte a lui o a lei?
Io non ho mai conosciuto mio figlio. Non so nemmeno se oggi avrei potuto trovarmi di fronte a uno giovane uomo o a studentessa universitaria. Amare chi non hai mai visto sembra quasi impossibile. Eppure mi manca esattamente come potrebbe mancare a chiunque qualcuno di caro che non incontri più da vent’anni, qualcuno con cui hai litigato, qualcuno che, a posteriori, avresti voluto facesse parte della tua vita.
I figli, esattamente come i genitori, non li si sceglie. Li si desidera, li si genera o adotta, li si ama anche più di se stessi. Sono parte di noi. Se in noi, anche nel solo palmo della mano, possiamo scorgere le tracce del nostro passato, in loro intravediamo il futuro che si dispiega. Li accettiamo così, come parte della nostra vita, senza poterci lamentare, esattamente come i genitori.
Amare i genitori di figli non tuoi è davvero difficile
Come si fa ad amare i genitori degli studenti, dei giovani e delle giovani che incontriamo lungo il sentiero della vita e cui stiamo a fianco per tre, quattro, cinque anni della nostra esistenza? Come si fa a rispettarne le scelte quando non siamo d’accordo con loro?
A mio avviso, bisogna partire innanzitutto dall’avere chiari dei valori nel proprio agire educativo e nel proprio agire quotidiano. Bisogna poi vivere coerentemente con questi valori. Ciò ci condurrà al rispetto dei valori degli altri. I genitori dei ragazzi sono e resteranno sempre i loro genitori e nessuno di noi può permettersi di metterli in cattiva luce. Possiamo al massimo ragionare su certi comportamenti che riteniamo sbagliati e confrontarci su ciò con i ragazzi, ribadendo sempre, al termine di ogni osservazione in merito, che i loro genitori desiderano solo il loro bene, e che dunque fanno tutto il possibile per loro con quello che hanno a disposizione.
Amare i figli degli altri è altrettanto difficile
Vi prego di non arrabbiarvi se non siete d’accordo con certe mie affermazioni.
Ci sentiamo investiti della missione di educare i più giovani? Sì? Allora dobbiamo amarli così come sono.
Dobbiamo certamente avere sani dubbi su tutto, per vivere bene e serenamente, e per educare proficuamente. Dobbiamo anche porci un sacco di domande. Dobbiamo desiderare di conoscere davvero gli altri: colleghi, giovani, genitori, tutti. Dobbiamo imparare ad ascoltare attivamente. Dobbiamo imparare a porre buone domande. A pensare prima di parlare. A parlare poco e riflettere prima. Dobbiamo imparare a dialogare euristicamente, come insegna Franco Lorenzoni.
Amare i “nostri” ragazzi e le “nostre” ragazze, che nostri e nostre non sono, beninteso2, vuol dire molte cose. Vuol dire prendersene cura, come l’I CARE di Don Milani, vuol dire “tu mi stai a cuore”, vuol dire “io ci tengo a te”. Vuol dire soprattutto trattarli da esseri umani e dir loro, prima o poi, “tu per me sei importante”. Altrimenti, perché lavorare in questo settore?
A volte amare i figli degli altri risulta facile. Accade, a chi educa col cuore, quando li vediamo realizzare i propri sogni, quando li vediamo scoprire e mettere a frutto i propri talenti, quando li vediamo scoprire il proprio perché, quando li vediamo trovare finalmente il terreno giusto nel quale piantare i propri semi e poi ancora quando li vediamo trovare un altro terreno dove piantare nuovi semi. In questi casi, le esperienze vissute con loro ci colmano di gioia, di soddisfazione, ci danno la forza di coltivare la nostra gentilezza, ci rendono più consapevoli del bene che facciamo e del valore delle nostre piccole azioni, ci fanno apprezzare il valore della relazione.
È per tutti questi motivi, e non sono pochi, che vi invito a continuare ad amare i giovani e le loro famiglie, e tutte le persone coinvolte nella loro educazione. Che vuol dire tutti, in sostanza. E vi invito a trattare coloro che non capite con compassione. Lo scopo è quello di realizzare, insieme ai giovani, il cammino di comprensione e di amore che ci sentiamo tutti chiamati a percorrere.
Non è un'utopia. Un giorno ho avuto l’opportunità di veder scegliere la sua strada proprio quel ragazzo in bici ritratto nella foto d’apertura di questo articolo.
Se non vi è mai capitato tra le mani il libro per bambini “A family is a family is a family” allora prendetevi tre minuti per ascoltarlo e gustarvi anche le illustrazioni in questo video su YouTube.
«I vostri figli non sono figli vostri. / Sono i figli e le figlie del desiderio che la vita ha di sé stessa. / Essi non provengono da voi, ma attraverso di voi. / E sebbene stiano con voi, non vi appartengono.» Tratto dalla poesia Your Children di Gibran Khalil Gibran.