Il mio ultimo colloquio di lavoro
Come risponderei a quelle domande che sembrano generiche ma nascondo sempre un obiettivo preciso
Non mai capito fino in fondo chi sono io né perché faccio quello che faccio e cosa farne della mia vita. Qualche anno fa, nel 2017, ho capito “per chi sono?”. Io sono per i ragazzi. Ora, 2024, dopo tanta acqua sotto i ponti, dopo la malattia personale, la morte di parenti, dopo tanta sofferenza nel non poter star vicino alle ragazze e ai ragazzi che amo, ho capito qualcosa in più di me stesso. Tutto ciò grazie agli altri.
Ogni tanto mi piace fare il punto della situazione per capire un po’ dove sono arrivato. Giorni fa mi è capitato un po’ su LinkedIn: “Le domande del colloquio: cosa vogliono davvero indagare?”. È un post scritto da Monica Lucadello consulente per l’orientamento professionale e la ricerca attiva del lavoro. Di primo acchito mi è sembrato un titolo scontato. Poi ho letto meglio il contenuto e mi è venuto in mente di raccontarmi in modo spregiudicato e diretto. Cosa accadrebbe se andassi ad un colloquio di lavoro e mi ponessi in termini così diretti? Arrivato dove sono ora non ho nulla da perdere, voglio stare coi ragazzi e starci meglio e quindi se devo fare due lavori insieme allora li farò purché rispettino i valori in cui credo e mi permettano di dedicarmi ai ragazzi.
Le domande che ti vengono fatte possono sembrare generiche, ma nascondono sempre un obiettivo preciso. Scopri cosa cercano i recruiter dietro le domande più comuni e come rispondere al meglio!
Ecco dunque come risponderei oggi alle domande proposte da Monica Lucadello, cui ne ho aggiunta una io, relativa ai ricordi di successi.
Questo post l’avrete capito e un po’ anche uno sfogo. Mi considero un multipotenziale, come definisce la categoria, cui sento di appartenere, Emilie Wapnick in “Diventa chi sei” e nel suo famoso TED “Perché alcuni di noi non hanno un'unica vera vocazione”. Molti dei ragazzi e degli studenti che incontriamo quotidianamente lo sono. Eppure pochi di noi sanno apprezzare ragazze e ragazzi così. Questo post è anche un po’ un diario. E poi è anche un modo, uno tra tanti, di affrontare un colloquio con sincerità.
Parlami di te
Nasco a rieti a Rieti nel 1981 da un panificatore e da una ragioniera. In questo periodo mi occupo di front-office e assistenza tecnica in una scuola. Sono un grafico impaginatore, ho una lunga esperienza di consulenza alla vendita di soluzioni informatiche e, quando se ne presenta l’occasione, mi dedico con passione alla formazione professionale. Il sogno sogno è che si realizzino i sogni dei ragazzi.
Quali sono i tuoi punti di forza?
Ascolto: ma se non ho ragazzi con cui esercitarlo come faccio a migliorare? Se non ho colleghi coi quali confrontarmi riguardo un argomento o un ragazzo come faccio ad aggiustare il tiro? Non ho modo né di sbagliare né di fare bene senza la materia prima.
Competenza professionale nel settore delle vendita etica
Competenza professionale nell’impaginazione di libri
Progettazione di moduli formativi
Capacità di comprensione delle esigenze palesi ed implicite delle persone.
Come ti vedi tra X anni?
Tra i ragazzi a scuola, finché ne avrò le forze.
Perché vuoi lavorare qui?
Se me lo chiede un’azienda la risposta è: «non voglio lavorare qui, ho bisogno di un lavoro retribuito e quindi di qualcosa per cui vengo pagato per poterci campare e per poter dedicare gratuitamente tutto il tempo che mi rimane alla scuola e ai ragazzi»
Se me lo chiede una scuola fatta bene allora la risposta è: «voglio lavorare in questa scuola perché considera i ragazzi come persone, perché gli adulti qui affiancano i ragazzi per aiutarli a scoprire e coltivare i propri talenti ed arrivare a raggiungere il proprio successo personale, a realizzarsi e al contempo ad essere parte integrante della comunità globale e locale nel rispetto di sé stessi, degli altri e dell’ambiente, in pace e amore. Voglio lavorare in questa scuola perché gli adulti non fanno lezioni frontali. Voglio lavorare in questa scuola perché i ragazzi qui sperimentano e si mettono in gioco, agisco per scoperta, lavorano col metodo scientifico per capire il mondo, la realtà e le cose le li circondano, per conoscere sé stessi e le proprie emozioni, per capire gli altri ed essere ogni giorno migliori del giorno prima, per cambiare in meglio. Voglio lavorare in questa scuola perché qui adulti e ragazzi vivono in un clima di democrazia dove le idee di tutti contano e si decide insieme. Voglio lavorare in questa scuola perché qui tutti gli adulti collaborano tra di loro e possono collaborare coi ragazzi. Perché gli adulti cooperano per raggiungere gli obiettivi che si sono dati seguendo valori saldi e condivisi, ed adattati al luogo, all’ambiente e al tempo in cui vivono. Voglio lavorare in questa scuola perché adulti e giovani qui possono dialogare e far emergere sé stessi, il proprio mondo interiore, la visione del mondo esterno che ciascuno ha, i propri interessi e passioni, al fine di crescere e diventare insieme. Voglio lavorare in questa scuola perché non ci sono compiti a casa, ma solo un po’ di teoria da studiare e tante domande da raccogliere e poi condividere insieme in classe. Voglio lavorare in questa scuola perché posso dormire a scuola e svegliarmi la mattina sapendo che sono dove ho sempre sognato di essere. Voglio lavorare in questa scuola perché qui posso dare il mio contributo alla scuola, alla comunità locale, al territorio, alla vita di ogni ragazza e ragazzo, e al mondo intero per far sì di lasciarlo, nell’ultimo giorno di vita, «un posto migliore», come disse Baden-Powell. Voglio lavorare in questa scuola per mettere finalmente a disposizione dei più giovani e di questa istituzione, capace di far lievitare le capacità di ragazzi ed adulti, le cose che so fare più o meno bene, le competenze imparare dai grandi maestri che ho incontrato. Voglio lavorare in questa scuola perché lavorare in una scuola mi rende felice e rende significativi i miei giorni. Voglio lavorare in questa scuola per essere completamente me stesso, e diventare pienamente me stesso grazie ai tanti contributi degli altri, come diceva Vygotsky. Voglio lavorare in questa scuola per essere per loro.
Qual è stato il tuo più grande fallimento?
Ho fallito molte volte.
Una vita spenta ancora prima di nascere. Ho capito, dopo molto molto tempo, cosa vuol dire essere padre, anzi madre. Ho compreso cos’è il rimorso.
Un matrimonio con una donna fallito. Ho preso coscienza di essere più gay che bisessuale. Mia moglie mi ha lasciato dicendomi che pensavo più ai miei studenti che che a lei e non ho potuto dargli torto.
Una cooperativa turistica chiusa prima ancora di iniziare. Ho capito che per fare un’azienda turistica dovevo avere patentini, autorizzazioni e una squadra.
Un bellissimo lavoro in un museo d’arte contemporanea al quale ho rinunciato. Ho capito che la politica è complicata e bisogna informarsi bene per destreggiarsi al meglio. Ho scoperto un’artista e una grande maestra di vita, di creatività, di gioco, di riflessione sul mondo che ci circonda e sul bello.
Un lavoro ben pagato da Store Manager in un negozio Apple, abbandonato. Ho capito che la rabbia è un’emozione che va vissuta, compresa e sfruttata per diventare più consapevoli della propria umanità e del proprio cammino.
Un lavoro che mi piaceva e sapevo fare di consulente alla vendita, abbandonato sotto imposizione. Ho capito quanto importanti fossero per me i ragazzi e scelto di non rinunciare alla prima vera esperienza di docenza, non rinunciare a tutti quei ragazzi che mi stavano a cuore e dei quali porto i nomi tatuati sul mio polso sinistro. Ho capito cosa amo di più.
Il ruolo di capo scout, abbandonato per mancanza di energie e competenze tecniche. Ho capito che ci vogliono tante energie per essere un capo scoutHo avuto conferma del fatto che il metodo scout è eccezionale, che è forse il metodo di educazione all’aperto migliore del mondo, che è il miglior modo per imparare a fare qualcosa, a crescere e scoprire i propri limiti, ad affrontare situazioni potenzialmente pericolose e imparare a gestirle. Ho appreso il punto della strada, la progressione personale, partecipato alla stesura della carta di clan, vissuto la spiritualità della strada. Ho conosciuto capi di appena venti anni capaci di raccontare una storia ed ammaliarmi, capaci di arrampicarsi molto in alto per attaccare una lampada che illumini tutti, capaci di accendere un fuoco con legna mezze bagnate, capaci di fare squadra davvero. E così ho capito che avevo ancora molto da imparare dalla vita ma soprattutto dagli altri.
Un bell’impiego da grafico impaginatore per il quale ricevevo lo stipendio più alto mai raggiunto. Ho capito che la mia vocazione è stare a scuola tutto il giorno.
Un bel lavoro da tecnico ausiliario con mansione di supporto informatico e front-office, il bidello insomma. Ho capito che accettare di essere messo da parte, escluso dalla comunità educante, messo a tacere, incastrato nelle mansioni del proprio ruolo elencate su un contratto contratto integrativo non fa me. Ho capito che alle domande dei ragazzi bisogna dare seguito e saper mettere le ali.
In conclusione vorrei riflettere sul fatto che anche il grande Walt Disney andò in bancarotta diverse volte, qualcuno gli disse anche che era un uomo poco creativo, eppure conosciamo tutti Walt Disney e l’impatto che i film di animazione hanno avuto sull’immaginario collettivo.
Prova a ricordare i tuoi successi personali, i momenti in cui hai avuto appagamento o c’è stato entusiasmo, in momenti in cui hai usato i tuoi punti di forza. cosa ti viene in mente?
Il ricordo più forte e di più lunga durata di un momento di entusiasmo e durante il quale ho utilizzato tutti i miei punti di forza e tutte le mie competenze lo ho dell’Anno Formativo 2018–2019. Perché? Per capire perché credo sia sufficiente raccontare una giornata tipo: Sveglia ore 6:00. Ore 7:15 colazione al bar gestito dagli studenti e dagli educatori all’interno del C.F.P. Artigianelli di Trento, l’Art Café. Ore 9:00 al lavoro, come tecnico, presso il negozio e centro assistenza Apple Premium Reseller di Trento. Dalle 10:00 alle 13:00 vendita, sempre presso lo stesso negozio. Ore 13:00 pranzo leggero con un piatto di pasta preparato al mattino presto. Dalle 14:00 alle 18:00 vesto i panni dello studente e frequento le lezioni dell’ITS Academy “Trentino Alta Formazione Grafica” ospitate presso l’Ist. Artigianelli. Una volta a settimana al mattino vesto i panni del docente esterno a contratto e in co-docenza seguo la classe del percorso di ri-orientamento lavorativo per i ragazzi a rischio dispersione scolastica denominato “Percorso A”, del C.F.P. Artigianelli, che comprende ragazzi nati tra il 2002 e il 2005. Una volta a settimana si fa riunione d’équipe tra i docenti del Percorso A. Una volta a mese sempre tra docenti e con l’aiuto di una psicologa esterna alla scuola, si fa un incontro di supervisione, per capirsi meglio tra colleghi, appianare divergenze, conoscersi meglio, incasellare meglio le emozioni scaturite dall’interazione tra colleghi e coi ragazzi, scoprendole e dando loro un senso. Riassumendo: ero studente, lavoratore, marito e docente. Studente di un percorso di formazione tecnologica superiore di comunicazione per la grafica multicanale, tecnico e commesso presso un rivenditore Apple, marito e docente di Design Thinking nel modulo formativo di Problem Solving Lab insieme ad un altro collega con 14 ragazzi.
Altro successo professionale in cui da perte mia c’è stato tanto entusiasmo si è verificato quando da commesso sono stato promosso Store Manager dell’APR di Trento. Durante il primo periodo in cui ho lavorato come commesso ho anche messo in gioco tutto il savoir fair che mi era possibile per lavorare bene. Poi in qualità di Store Manager mi sono prodigato per far star bene i collaboratori e per imparare autonomamente quanto più possibile sullo store management e sulla gestione di attività e progetti. Anche la formazione professionale offerta dalla casa madre Apple ha arricchito il mio bagaglio, aggiungendo esperienze, tecniche di vendita e tanti consigli proveniente da docenti preparati e da altri colleghi sparsi in giro per l’Italia.
Un ricordo di un momento di grande appagamento mi viene da una serie di eventi che hanno avuto luogo nell’anno formativo 2020–2021. Un anno difficile, composto di tante sofferenze e molte gioie profonde, o meglio molti momenti di appagamento concreto. Durante l’anno formativo 2018–2019, come ho già raccontato, ero sia studente che docente all’interno dello stesso istituto superiore. Dal mio coordinatore venni rimproverato, per motivi di presunto conflitto di interessi tra corso ITS e docenza, di applicarmi poco come docente. La mia pronta risposta fu: “ho la possibilità di insegnare finalmente in una classe, continuativamente e stabilmente, e sto dando il 120% come insegnante ed educatore. Ho imparato a mie spese che dare il 120% quando mancano valori condivisi tra docenti, è controproducente. Oggi, quando incontro una nuova realtà, voglio che mi vengano spiegati innanzi tutti i valori seguiti nell’educazione dei più giovani e condivisi tra tutti gli educatori e i collaboratori, prima ancora di conoscere le condizioni del trattamento economico. Per usare le parole di Simon Sinek oserei dire che oggi mi interessa molto poco il cosa, poco il come e tanto il perché le cose che si fanno in una azienda o una scuola si fanno come si fanno. E dunque l’appagamento dov’è in tutto questo lungo ricordo? Sta per arrivare. L’anno formativo 2018–2019 si conclude e a me resta l’amaro in bocca. Mi domandavo: ” ma come, ho dato il massimo come insegnante e vengo rimproverato, dov’è che sbaglio?“. Così quando è iniziato l’anno formativo 2019–2020 ho rinunciato alla cattedra, ho rinunciato alla cosa più preziosa per me, a ciò che amo profondamente se cerchiamo di inquadrare la cosa in termini di Ikigai. L’ho fatto per rispettare le indicazioni che mi erano venute da un mio superiore, rispettando la gerarchia. Le mie idee attuali sono ben diverse dall’epoca. Poi è arrivato marzo 2020, è scoppiata la pandemia, siamo rimasti in Italia tutti chiusi in casa in loco-down. A giugno mi sono sentito poco bene e sono stato operato velocemente ed mi è stato asportato un tumore. Da marzo 2019 a luglio 2020 sono stato disoccupato perché il negozio dove lavoravo part-time mi ha dato il ben servito trasferendomi lontano da casa, cosa che non ho accettato e così con una rescissione consensuale del contratto di lavoro ho potuto percepire la disoccupazione. Ho studiato, insegnato, iniziato a preparare la tesi, progettato attività didattiche e poi all’inizio del 2020 ripreso a cercare attivamente un nuovo impiego. A luglio, dopo l’operazione e ancora coi punti in pancia, ho iniziato a lavorare in un piccolo negozio e centro assistenza di cellulari. In agosto mi sono sottoposto alle terapie oncologiche. Tra le terapie e la ripresa sono stato a casa solo 17 giorni, e sono tornato subito al lavoro senza capelli. A fine agosto la scuola mi ha offerto di nuovo un posto come docente esterno, senza conducente stavolta, affidandomi la cattedra di matematica applicata. Insieme ad un amico chiamammo quel modulo formativo ”Ingegno“. Insieme ai ragazzi, quello dello stesso percorso dell’anno precedente che comunque non avevo mai smesso di sentire durante il lock-down, iniziammo le lezioni ragionando sui temi a loro più cari, sulle cose che ”per loro contavano", e da quelle siamo partiti per fare matematica: la gestione del tempo e del denaro. Stare in classe con loro e dialogare e imparare insieme è il più bel ricordo e momento di apparento che io abbia mai vissuto.
Un ricordo legato ad un momento in cui ho potuto utilizzare i miei punti di forza è quello dell’anno formativo 2020–2021 e 2021–2022. Contemporaneamente alla docenza infatti nell’ottobre 2020 per la prima volta lavorai come grafico impaginatore finalmente anche in Trentino. Venendo riconosciuto proprio come grafico impaginatore sia sul contratto di lavoro sia per il titolo che avrei acquisito di lì a poco con la discussione della tesi. Ebbi così modo di mettere a frutto la creatività, le tecniche di impaginazione, le capacità di inventare nuove soluzioni per la gestione dei dati e il trattamento testi, soluzioni che ancora oggi l’impresa utilizza. In queste specifiche circostanze ho potuto collaborare con qualche collega, nonostante le restrizioni ancora legate alla gestione della pandemia e delle infezioni. Ho avuto modo anche di trasmettere a chi mi avrebbe succeduto tutto quello che avevo inventato, tutto il processo di trattamento testi che avevo sviluppato.
In conclusione, i ricordi legati ai momenti più appaganti ed entusiasmanti, parafrasando le parole di degli scrittori spagnoli Héctor García e Francesc Miralles, autori del bestseller Il metodo Ikigai, sono quelli in cui sono stato sempre occupato. Voglio dire che le mie giornate erano rimedite da un’occupazione che c’entra nulla con lo sfruttamento o l’iperproduttività, ma piuttosto con la passione, la motivazione e una vita piena e consapevole che ci fa sentire energici.
Come ti relazioni con colleghi e superiori?
Amo cooperare e collaborare coi colleghi quando sono cooperativi e collaborativi, altrimenti faccio da me, grazie lo stesso. Coi miei diretti superiori mi relazioni bene, mi piace essere il braccio destro di qualcuno. Nel tempo ho compreso che amo lavorare nelle realtà in cui si pratica l’equità dei processi a tutti i livelli dell’organizzazione, ovvero in cui tutti vengono coinvolti e soprattutto i cui tutti sono considerati come persone e non come numeri, in cui le idee possono venire anche dal basso. Un esempio? La famosa storia del problema delle spese ingenti che la società canadese di gestione dell’elettricità doveva affrontare ogni anno per riparare i tralicci caduti a causa del peso della neve. Prima di trovare una soluzione la società inviava i riparatori tramite un elicottero che volava in linea d’aria. Data l’elevata spesa la società chiamò a raccolta tutti i dipendenti e gli stakeholders invitandoli ad una grande Convention. Fu fatto un brainstorming e venne chiesto di proporre tutte le idee che venissero in mente ai partecipanti. Qualcuno scrisse: potremmo mettere del miele in cima ai tralicci così gli orsi si arrampicheranno e faranno cadere la neve. Le idee vennero poi analizzate da un team di esperti ingegneri. Quando il team di esperti si trovò di fronte all’idea degli orsi e del miele intuì che poteva trasformarsi in qualcosa di utile. Si confrontarono e idearono un nuovo sistema: gli elicotteri avrebbero viaggiato seguendo le linee elettriche fino al traliccio caduto così da spazzare la neve che copriva gli altri.
Mi piace imparare quindi lavoro benissimo quando qualcuno è disposto ad insegnarmi i segreti del mestiere. Mi piace molto lavorare insieme ai colleghi per portare innovazione e cambiamento, e anche per far funzionare bene le cose.
Cosa ti dà soddisfazione nel lavoro?
Organizzare tempo, attività e progetti
Avere gli strumenti giusti per essere d’aiuto al cliente, o allo studente. Mi manda in bestia no avere strumenti. E non sto parlando solo di matite e fogli di carta o libri. Sto parlando anche di metodi condivisi, valori condivisi, riunioni periodiche, un software di archiviazione dati, un’app per gestire attività e progetti, un software per programmare snippets e risposte veloci ed evitare così errori, ripetizioni, e copia-e-incolla a migliaia ogni mese, un editor Markdown, un’app per le note, un buon sito dove hostare contenuti e file.
Spendermi per i ragazzi
Avere l’opportunità di seguire qualcuno come tutor
Avere l’opportunità di insegnare qualcosa, anche qualcosa solo per un paio di ore a settimana. Niente non lo accetto, perché non sarei un educatore altrimenti. Per essere utili ai ragazzi bisogna avere l’opportunità di passare del tempo con loro, ascoltarli riflettere, impegnarsi nello scoprire e conoscere qualcosa insieme a loro mediante il dialogo euristico e degli esperimenti. E per far tutto ciò bisogna avere l’opportunità di insegnare e non soltanto di sistemare computer o passare la scopa.
Avere la possibilità di dire buongiorno ad ogni ragazzo che entra a scuola al mattino, insieme a qualche altro adulto e non da solo
Vorrei fare tante cose, ma in tutte le realtà in cui ho lavorato non si è mai fatto gioco di squadra. Essere impegnato mi dà soddisfazione, ma non sempre da solo.